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All’Opera di Roma
AIDA
MA SENZA TRIONFO
di
Lorenzo Tozzi
23
20
Impera la danza nei
TEATRI ROMANI
di
Alberto Cervi
Nascono a Latina
il DMI e l’ARCHIVIO
DEI MUSICISTI
di
Claudio Paradiso
6
CORREVA
L’ANNO 1915
di
Domenico Carboni
16
MANFRED HONECK
musicaconBrahmseMahler
di
Luigi Bellingardi
28
BON TON
di
Ivanhoe
10
11
A Lipsia e ad Halle
la Germania festeggia
BACH E HÄNDEL
di
Lorenzo Tozzi
CAV & PAG
trionfano
con Thielemann
di
Luigi Bellingardi
29
LIBRI E CD
a cura di
Luigi Bellingardi
26
20
NOTIZIE
a cura di
Angela Funaro
I cento anni dalla nascita di
SVIATOSLAV RICHTER
di
Ivana Musiani
22
GIORGIO NAPOLITANO
sensibile anche ai problemi
della musica
di
Giorgio Girelli
14
MA TOSCA,
DA DOVE SI BUTTA?
di
Ivana Musiani
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All’opera di Roma
AIDAMA SENZA TRIONFO
Un momento delle prove dell’
Aida
- A.Rachvelishvili(Amneris), R.Tagliavini(Ramfis) ©Yasuko Kageyama - Opera Roma
I
n una lettera al Presidente del
Teatro Comunale di Trieste nel
1872 a proposito di Aida il Don
Peppino nazionale raccomandava
che venisse eseguita “con cuore e
intelligenza” e soprattutto secondo
le sue intenzioni.
E si sa che tra queste ultime c’era
anche una messinscena degna del-
la tradizione grand-operistica fran-
cese proprio per dare per contrasto
risalto alle scene intimistiche e alla
dimensione umana dei personaggi.
E’ anzi proprio questa dimensione
titanica a conferire più incisività a
quel triangolo amoroso che vigeva
nel melodramma almeno dall’età
dell’Interregno di Bellini e Doni-
zetti. E di quella grandiosità testi-
moniavano le scenografie disegnate
dall’egittologo Mariette e la cele-
berrima quanto irrinunciabile mar-
cia trionfale.
A Roma invece, riprendendo il
sobrio ed essenziale allestimento
del coreografo Micha Van Hoecke
concepito per le Terme di Cara-
calla nel 2011, l’Aida è sembrata
“povera”, scarna, priva di sfondo
storico ( poteva essere anche Guer-
re stellari). Tutto si riduce in fondo
solo a due rampe di scale disposte
in tutti i modi possibili ed immagi-
nabili ( anche come minipiramide
o come avello finale). Manca in-
somma il colore e il calore infuo-
cato dell’Egitto ed anche le belle
luci (l’azzurro idealizzato del Nilo)
sembrano più congeniali ai fiordi
di un Ibsen o a Grieg che al Verdi
egizio.
L’azione scenica vaca a lungo, no-
nostante gli spazi ampiamente di-
sponibili in scena, e il balletto, con
le ballerine in bikini da mosaico di
Villa Armerina, mette in luce solo
le doti della brava Alessandra Ama-
to, ma si svolge sugli stessi modi
astratti e extratemporali con al cen-
tro un incomprensibile derviscio
ruotante.
Non giovava poi la direzione musi-
cale di Bignamini, scolastica e pro-
fessionale, ma priva di colpo d’ali e
di senso dell’assieme drammatico,
mentre nella terna dei protagonisti
si distinguevano, ma solo alla di-
stanza, la carismatica Amneris di
Anita Rachvelishvili ed il Rada-
mes, invero più avvezzo alle goz-
zoviglie e alle taverne che alle gi-
berne e alle palestre, del corpulento
Fabio Sartori. Non sempre a fuoco
soprattutto in tessitura acuta invece
l’Aida della magiara Csilla Boros,
neppure coadiuvata registicamente
a dovere. Ne risultava così una ese-
cuzione piatta, noiosetta e di rou-
tine. Insomma, tanto per dirla con
Verdi, “per Aida non basta avere
due o tre cantanti buoni!” (lettera a
Torelli, 22 agosto 1872), ma il buon
Verdi non poteva contemplare in
quella’alba dell’Italia postunitaria
crisi e tagli di finanziamenti.
Lorenzo Tozzi